Criptovalute: la tassazione dell’attività di staking

Autore: redazione
30 Agosto 2022

Una delle motivazioni per cui buona parte della dottrina non condivide l’assimilazione fiscale delle criptovalute alle valute straniere, voluta dalla prassi, è che le criptoattività presentano delle caratteristiche peculiari difficilmente associabili ad altro.

Una di queste è l’attività cosiddetta di staking, la cui remunerazione, per la sua peculiarità, è soggetta a un trattamento fiscale che non può trovare facile assimilazione nella normativa fiscale che interessa le valute fiat e che finora è stata caratterizzata dall’incertezza.

Alcune recenti pronunce dell’Agenzia delle Entrate, tra le quali l’ultima e più esauriente è la Risposta a interpello numero 437 del 26 agosto 2022, quanto meno forniscono una guida sul comportamento da adottare, a prescindere dalla condivisibilità dell’interpretazione.

Ciò che appare evidente è quanto i redditi derivanti dallo sfruttamento delle criptoattività, nel senso più esteso del termine, necessitino di una trattazione organica e specifica, possibilmente armonizzata; necessità che probabilmente troverà risposta nell’ormai famoso Regolamento MiCa sulle in corso di esplorazione in sede unionale.

Lo staking è una attività tipica delle criptovalute, direttamente collegato alle caratteristiche tecniche della blockchain: lo staking, semplificando per brevità, è il processo utilizzato dalla blockchain di una criptovaluta per raggiungere il consenso distribuito necessario alla creazione di un nuovo blocco della medesima blockchain.

La creazione del nuovo blocco avviene, quindi, attraverso un processo di validazione e convalida che utilizza le stesse criptovalute già esistenti.

Le criptovalute utilizzate in questo processo, pur restando nelle mani (o per meglio dire nel wallet) del loro proprietario, subiscono un temporaneo vincolo di indisponibilità, per il quale il contribuente viene remunerato con altre criptovalute.

L’attività di staking è uno dei servizi messi a disposizione dalle piattaforme telematiche specializzate nella compravendita di criptovalute, gli exchange; i quali fungono da intermediari, trattenendo una commissione come corrispettivo per l’utilizzo del sistema informatico, e accreditando sul portafoglio virtuale del cliente le criptovalute che gli spettano come tornaconto.

Il trattamento fiscale derivante dal vincolo di indisponibilità è stato oggetto di analisi specifica da parte della prassi. 

La materia è sensibile in quanto l’attività, per le sue caratteristiche, fiscalmente presenta dei bordi poco definiti.

Rispondendo all’interpello, l’Agenzia delle Entrate considera applicabili, per l’attività di staking, le previsioni dell’articolo 44 comma 1 lettera h del TUIR, norma di chiusura dei redditi di capitale, con la quale si assimilano alla fattispecie gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale”, in  quanto, come precisato dall’Agenzia, “per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale”.

Senza entrare nel merito dell’opportunità di questo inquadramento normativo, in attesa che l’intera materia venga analiticamente disciplinata anche dal punto di vista fiscale, al contribuente basti sapere che, allo stato attuale, l’attività di staking dalla prassi viene considerata un reddito di capitale, per cui potrà comportarsi di conseguenza nell’adempiere agli obblighi fiscali.

Più concretamente, in base al trattamento fiscale previsto per i redditi di capitale percepiti da persone fisiche fuori dall’attività d’impresa, ex articolo 44 comma 1 lettera h del TUIR, come precisato dall’Agenzia delle Entrate in occasione della Risposta a interpello numero 437/2022, che rettifica la risposta a Interpello numero 433/2022 di qualche giorno prima, la remunerazione in criptovalute dell’attività di staking, se accreditate sul wallet tenuto presso una società italiana, sarà soggetta a ritenuta a titolo d’acconto del 26% ex articolo 26 comma 5 del DPR 600/73.

Quindi l’exchange residente in Italia, che accredita al contribuente italiano (persona fisica fuori dall’attività d’impresa) delle criptovalute derivanti da attività di staking, dovrà assumere il ruolo di sostituto d’imposta e applicare una ritenuta a titolo d’acconto del 26%; imposta che dovrà essere poi definita, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, nella sezione I-A, dedicata ai redditi di capitale, del quadro RL del modello Redditi PF.

Sul modello Redditi PF i redditi da attività di staking rappresenteranno redditi imponibili e dovranno essere esposti al lordo delle ritenute sul rigo RL2, insieme alle ritenute a titolo d’acconto subite.

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